Heredis institùtio [
Istituzione di erede; cfr. artt. 588, 642-648 c.c.]
Letteralmente, l’(—) era l’istituzione di erede, ossia la chiara ed univoca designazione del
vocatus [vedi
vocatio ad hereditàtem] e dei
vocati ad successionem. Nel diritto romano la successione dell’erede “
in lòcum et iùs defùncti” (in luogo e nella posizione del defunto) richiedeva l’(—), ossia una disposizione testamentaria avente carattere solenne ed imperativo per mezzo della quale il
de cùius [vedi] attribuiva il titolo di
hères [vedi] ad uno o più soggetti.
La formula tipica era
Titius heres èsto (Tizio sarà erede).
All’(—) doveva accompagnarsi, per il
ius civile [vedi] l’espressa
exheredatio [vedi] degli
herèdes sùi che il testatore voleva escludere dalla successione; mentre per il
ius honoràrium [vedi] era necessaria l’
exheredatio di tutti i
liberi (figli), anche emancipati non istituiti nell’ambito dell’(—). La persona dell’erede doveva essere individuata in modo inequivoco.
L’
heres poteva essere istituito sotto condizione sospensiva, non sotto condizione risolutiva o a termine (
semel heres,
semper heres).
L’(—) poteva essere effettuata:
—
in universum ius, e cioè rispetto a tutto il patrimonio ereditario;
—
ex àsse rispetto ad una quota;
—
ex certa re, solo rispetto ad una certa cosa;
—
excèpta re, esclusa una certa cosa.
In particolare, si aveva (—)
ex certa re laddove il testatore nominava taluno erede non per una quota del patrimonio ereditario, ma per una singola cosa od un complesso non costituente, quanto meno sotto il profilo formale, una frazione del patrimonio ereditario.
Secondo il
ius civile, una siffatta disposizione aveva carattere contraddittorio in quanto era ravvisabile un sostanziale
contrasto tra l’attribuzione del titolo di
heres e la delimitazione dei beni in relazione ai quali si determinava la successione dell’istituito: in sostanza, se
heres era colui che subentrava nel complesso dei rapporti giuridici, la menzione della
certa res toglieva valore all’(—).
Onde evitare la nullità della disposizione, il giurista
Sabino [vedi], ispirandosi al
fàvor testamènti [vedi], ammise che la disposizione medesima fosse valida
detràcta rèi certæ mentiòne, cioè come se l’aggiunta della
certa res non ci fosse, con la conseguenza che l’erede acquistava tutto il patrimonio ereditario.