Interdìctum
Gli
interdicta (detti anche
decrèta) erano, secondo la definizione di un’autorevole dottrina, “ordinanze di urgenza emesse dal magistrato
cum imperio, in contraddittorio tra due parti, allo scopo di evitare la
lìtis contestàtio [vedi]
e il procedimento
àpud iùdicem di fronte a certe fattispecie relativamente semplici ed evidenti. Il magistrato ingiungeva al convenuto, su richiesta dell’attore, di compiere l’azione, positiva o negativa, da quest’ultimo reclamata…”.
Si distinguono generalmente
due periodi di sviluppo dell’istituto:
— in una
prima fase, il
procedimento interdittale era
tutto di competenza del magistrato, il quale garantiva il corso normale e ordinato della vita civile: se qualcuno turbava l’ordine, subiva un’
ingiunzione, cioè un (—): ad esempio, poiché si vietava, a chi si affermava proprietario, di riprendere con violenza la cosa di cui aveva perduto il possesso, il giudice, in tal modo, tutelava anche l’ordine pubblico e non solo l’interesse particolare del possessore.
In questa fase, se perveniva la notizia di un turbamento dell’ordine pubblico, il magistrato emanava l’
ordine ed in caso di disobbedienza infliggeva una
sanzione;
— in una
seconda fase,
il processo interdittale si avvicinò a quello ordinario, dal momento che fu introdotta la
distinzione tra stadio
in iùre e
apud iudicem: era il
iudex che emetteva la
decisione finale. Accertato il torto del convenuto, inoltre, il giudice poteva condannarlo a pagare una somma di danaro in favore dell’attore.
Il privato si rivolgeva, pertanto, al pretore e gli chiedeva che fosse emanato l’(—) contro la persona da lui indicata, presente
in iure. Il pretore, se il caso rientrava in uno di quelli previsti dall’editto e non vi erano motivi per un rifiuto, emanava l’
ordine di fare o non fare.
Se la persona ingiunta obbediva, il caso era risolto. Se, invece, non obbediva, occorreva che il processo continuasse, passando alla fase
apud iudicem: il giudice stabiliva se la
disobbedienza fosse
giustificata o no, condannando la parte, se accertava la sussistenza dei presupposti a cui il magistrato aveva fatto riferimento nell’emanazione dell’interdetto.
Gli
interdicta si distinguevano:
— a seconda dell’oggetto, in:
—
prohibitòria, che imponevano l’astensione da un certo comportamento;
—
restitutòria, che ordinavano la restituzione di una
res [vedi];
—
exhibitòria, che comportavano l’obbligo di esibire una
res che si tenesse nascosta;
— in relazione ai destinatari, in:
—
simplìcia, se rivolti ad una sola delle parti;
—
duplìcia, se rivolti ad entrambe le parti;
— si distingueva ulteriormente, tra
interdicta:
—
adipiscèndæ possessiònis [vedi];
—
recuperàndæ possessionis [vedi];
—
retinèndæ possessionis [vedi].
Gli
interdicta erano sostanzialmente provvedimenti d’urgenza, emanati a seguito di cognizione (e cioè di un accertamento) molto sommaria ed approssimativa, limitata al rilievo del
fùmus boni iùris [vedi] e cioè della fondatezza
prima facie (a prima vista) del diritto vantato dall’istante e sfociavano in un ordine rivolto ad uno o ad entrambi i contendenti.
Normalmente si costringeva, con i mezzi concessi dal pretore (
multa,
missio in possessionem), il destinatario dell’ordine ad obbligarsi mediante
spònsio [vedi]
a pagare, per il caso di soccombenza, una data somma all’avversario. Questi si obbligava a sua volta a pagare, per il caso di soccombenza, una medesima somma di danaro, con una
restipulàtio; dalla
stipulatio [vedi]
e dalla
restipulatio nascevano le normali azioni
ex stipulàtu certi [vedi
àctio ex stipulatu]
per ottenere la condanna di colui, che avendo avuto torto nel processo interdittale, non volesse pagare la somma promessa.