Auspìcia [
Auspici]
Gli (—), insieme agli
augùria, erano nella società romana, i segni attraverso i quali si riteneva si manifestasse la volontà degli dei; a quest’ultima veniva adeguata la vita sociale e in base ad essa si assumevano le decisioni più importanti.
All’interpretazione di tali segni erano deputati degli esperti, gli
àugures.
Difficile è dire con esattezza la differenza fra (—) e
auguria; ad ogni modo sembra che essa si concretasse nella diversità dei soggetti preposti all’interpretazione dei “segni divini”.
Tale compito pare spettasse nel caso degli (—) al
rex [vedi] e ai magistrati repubblicani, e nel caso degli
auguria agli
augures.
L’espressione “
auspicia ad patres redeunt” sta ad indicare che il comando politico ritornava ai “
patres” del “
senatus” [vedi] alla morte o all’“
abdicatio” del “
rex” [vedi]; i “
patres” lo esercitavano a turno col titolo di “
interrex” [vedi] sino alla scelta del nuovo “
rex”.
Gli “(—)” si distinguono in cinque categorie:
— (—)
ex avibus: tratti dal volo degli uccelli;
— (—)
ex tripudiis o pullaria, tratti dal gradimento o meno del cibo manifestato dai polli sacri;
— (—)
de cœlo tratti dai fenomeni celesti (tuoni, lampi);
— (—)
ex quadripedibus tratti dallo improvviso schiamazzare o correre disordinatamente dei quadrupedi;
— (—)
ex diris, sempre sfavorevoli, tratti dall’accadere inopinato di avvenimenti funesti ed inusitati (“
diræ”).
Gli “
auspicia” presi dai censori, dai consoli, dal dittatore e dai pretori si dicevano “
auspicia maiora”, perché prevalevano su quelli ottenuti dagli altri magistrati patrizi.
Da qui derivò la distinzione dei “
magistratus patricii” in “
maiores” e “
minores”.