Causa
La (—) era uno degli elementi essenziali dei negozi di attribuzione patrimoniale (si parlava di
iusta causa).
La
iusta (—) veniva intesa come ragione obiettiva, sufficiente di per sé a giustificare un dato negozio, in relazione ai fini che le parti si proponevano; si poteva così avere una
iusta (—):
—
traditionis (per la
traditio [vedi]);
—
solvendi (per la
solutio [vedi]);
—
dotis dàndæ (per la
datio dotis [vedi]);
—
donationis (per la
donatio [vedi]); e così via.
Occorreva che la (—) fosse voluta: in ciò si verificava una commistione tra (—) e volontà (c.d.
ànimus [vedi]): l’
ànimus era diverso a seconda della diversa causa per cui l’atto era compiuto (
animus donationis, novàndi) e, congiuntamente alla causa, consentiva l’individuazione giuridica del rapporto.
La (—) di un negozio giuridico doveva sempre essere
lecita; a tale riguardo, contrariamente a quanto avviene nell’ordinamento vigente, si distinguevano varie forme di illiceità:
— l’
illiceità era
piena ed implicava l’
invalidità del negozio, quando il negozio era
iniustus, cioè contrario ai principi fondamentali del
ius civile, oppure
contra bonos mores, cioè contrario alla morale tradizionale, oppure
contra lèges perfectas, cioè contro leggi imperative che comminavano la nullità degli atti compiuti in loro violazione;
— l’
illiceità era
semipiena quando il negozio era contrario a
leges minus quam perfectæ, che cioè comminavano solo una sanzione a carico del trasgressore e non anche la nullità del negozio;
— l’
illiceità era
generica se il negozio era contrario a
leges imperfectæ, cioè a quelli leggi che non comminavano alcun tipo di sanzione per la loro violazione.
La contrarietà alle leggi poteva essere:
— diretta (negozi
contra legem);
— indiretta (negozi
in fràudem legis), nel qual caso un negozio, pur valido in apparenza, perseguiva in realtà, indirettamente, uno scopo vietato dalla legge, risultando, perciò, egualmente illecito.