Gaio
Giurista vissuto all’epoca di Antonino Pio e Marco Aurelio, nel II secolo d.C.
Fu un maestro di scuola, originario secondo molti dell’Asia Minore o della Troade e, pertanto, un provinciale insignito della cittadinanza romana. In virtù della purezza e della fluidità del suo linguaggio alcuni studiosi, tuttavia, lo ritengono cittadino romano. Fu autore molto fecondo ma ignorato dai contemporanei; la sua fama andò crescendo con il tempo, fino a che il suo nome non venne compreso tra i cinque giuristi che, in virtù della
legge delle citazioni [
vedi Citazioni (legge delle)] di Valentiniano III, potevano essere citati nella prassi giudiziaria.
Al di là dei suoi specifici meriti giuridici da molti contestati, la fama conquistata da questo giurista in età moderna è dovuta alla circostanza che il suo manuale, le
Institutiones, articolato in quattro libri, ci è pervenuto quasi integralmente, consentendo agli studiosi degli ultimi due secoli di acquisire un patrimonio prezioso di nozioni e di conoscenze sul sistema giuridico romano ed, in particolare, un’adeguata percezione delle distorsioni e delle interpolazioni presenti nella compilazione giustinianea [
vedi Corpus iuris civilis].
In particolare, le
Institutiones sono una esposizione sistematica in sei libri dei principi elementari del
diritto romano [
vedi], dedicata agli allievi di (—) e, perciò, di uso prettamente scolastico. L’opera è suddivisa in tre parti dedicate rispettivamente alle persone, alle cose ed alle azioni processuali. Essa, fino ai primi dell’800, era conosciuta attraverso le
Institutiones Iustiniani [
vedi] e l’
Epitome, in due libri, della
Lex romana Wisigothòrum [
vedi]. Solo nel 1816 il Niebuhr ritrovò nella Biblioteca capitolare di Verona il testo di un palinsesto, il
Codex Gai veronensis [
vedi]; ulteriori scoperte rivelarono che il testo veronese non conteneva l’opera completa.
Tra le altre opere gaiane vanno segnalate: un commento all’
editto provinciale (ossia al testo edittale promulgato dai governatori provinciali) ed un commento alla
legge delle XII tavole [
vedi Lex XII tabularum], di grande importanza per la nostra conoscenza del diritto romano arcaico. Tra le opere minori, può ricordarsi un commento ai libri di Q. Mucio e all’editto del pretore urbano.