Divòrtium [
Divorzio; cfr. L. 1-12-1970, n. 898, L. 6-3-1987, n. 74]
Il (—) (o
repudium) è una delle cause di scioglimento del
matrimonium [vedi].
In origine solo il
marito aveva la
facoltà di ripudiare; successivamente tale facoltà fu riconosciuta anche alla donna. Un’unica limitazione era prevista per la
liberta, la quale, se divorziava di sua iniziativa dal
patrono, non poteva risposarsi.
Il (—), poiché il matrimonio si basava sulla
volontà permanente dei coniugi (
affèctio), non era, a differenza di questo, un vero e proprio
atto giuridico, concretizzandosi nel semplice
venir meno dell’affectio maritalis.
Se il matrimonio era accompagnato da
convèntio in manum [vedi], il (—) scioglieva il matrimonio, ma non faceva venir meno la
manus, occorrendo, a tal fine, un
atto inverso, quale la
diffarreàtio [vedi]
o la
remancipàtio.
Per il matrimonio sine manu bastava che venisse meno definitivamente la vita in comune.
In origine, e fino all’
epoca repubblicana, qualunque causa era valida a costituire motivo di divorzio, anche se futile.
Solo la
legislazione augustea punì, con una sanzione pecuniaria, il coniuge che, col suo comportamento, avesse dato origine al (—).
Nella
concezione postclassica, che ravvisò nel
matrimonium un
effetto del consensus iniziale, il (—)
fu identificato col
repudium, considerato un
negozio costitutivo dello scioglimento
del matrimonium.
L’avvento del Cristianesimo provocò la diffusione di tendenze antidivorzistiche, che portarono all’individuazione di giuste cause di divorzio:
— per la donna, quando il coniuge era riconosciuto
omicida,
violatore di sepolcri o
avvelenatore;
— per il marito, quando la moglie fosse accusata di essere
adultera,
mezzana o
avvelenatrice.
Chi divorziava unilateralmente, fuori da questi casi, era punito gravemente. Nessun limite sussisteva, invece, per il
divorzio bilaterale, cioè per quello voluto di comune accordo dai coniugi.
Giustiniano ampliò le
iustæ causæ di divorzio unilaterale, reputando valido il
repudium: nel caso in cui la donna fosse andata a banchettare o fare bagni con estranei o avesse frequentato spettacoli senza il consenso del marito; o nel caso in cui il marito avesse tentato di far prostituire la moglie o l’avesse accusata falsamente di adulterio, oppure avesse mantenuto una concubina; era, infine,
iusta causa, per entrambi i coniugi, l’aver teso insidia alla vita dell’altro o l’aver congiurato contro l’imperatore. Il coniuge colpevole veniva privato di ogni diritto sulla dote e sulle donazioni
pròpter nùptias.
Accanto al divorzio
ex iusta causa venne introdotto il divorzio
ex bona gratia, per
ragioni non
imputabili a nessuno dei coniugi, come la
captìvitas [vedi]
del marito, durata per oltre cinque anni, il voto di castità o l’impotenza manifestatasi nei primi tre anni di matrimonio.
Per la validità del divorzio era necessario un formale
libèllum repùdii: in particolare, si ritenne necessario che la manifestazione di volontà volta allo scioglimento del legame matrimoniale (producendo effetti di notevole rilevanza sociale, in ordine, soprattutto, allo
status dei figli) fosse espressa in modo certo, definitivo ed inequivocabile, nonché senza l’apposizione di clausole (condizione, termine).