Divisione del lavoro
Specializzazione del lavoratore in una particolare fase del processo produttivo.
La divisione del lavoro fu oggetto di analisi già nel 1776 ad opera di
A. Smith (v.) con il noto studio sulla produzione di spilli contenuto nel celebre
La ricchezza delle nazioni.
La teoria
classica dell'organizzazione del lavoro, ad opera di
Taylor e soprattutto di
Gulick e
Urwick, ha fatto della divisione del lavoro un suo
assioma fondamentale:
quanto più una operazione viene scissa nelle sue componenti elementari affidate a singoli operai,
tanto più il lavoratore preposto diviene
esperto,
specializzato e
rapido con palese beneficio per l'intero sistema di produzione.
La divisione dei compiti spetta a un'autorità centrale secondo un quadro generale basato su
ambiti di controllo del superiore gerarchico sui suoi subordinati.
Il concetto di divisione del lavoro è legato a quello di
specializzazione e di
decentramento dell'attività produttiva (v.
Decentramento produttivo). Scopo fondamentale di questi principi nelle loro concrete applicazioni è quello di giungere alla
produzione in serie, ossia alla
catena di montaggio (v.) che presuppone il frazionamento del lavoro in gesti elementari e ripetitivi.
La specializzazione sempre più spinta dei processi produttivi, però, rende il lavoro dell'operaio più monotono e produce fenomeni di alienazione in quanto il lavoratore è costretto a compiere sempre la medesima azione elementare. Solo con l'introduzione di
robots, cui sono affidati i lavori più monotoni e stressanti, sono stati parzialmente superati i problemi di alienazione derivanti da un'eccessiva specializzazione lavorativa.